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Il patto di non concorrenza del lavoratore dipendente ovvero uno strumento molto usato ma poco...padroneggiato

 

I REQUISITI FORMALI

L’art. 2125 del Codice Civile, che disciplina il patto di non concorrenza del lavoratore subordinato, stabilisce quali sono i requisiti di validità che l’accordo in questione deve avere. In carenza dei requisiti che andremo a indicare ne viene prevista la nullità.

I requisiti indicati dalla norma sono: la forma scritta, i limiti attinenti all’oggetto del patto, l’ambito spaziale di validità, la durata. Da ultimo, il fondamentale richiamo alla congruità del corrispettivo previsto in favore del prestatore di lavoro.

1. FORMA E DURATA: VERBA VOLANT SCRIPTA MANENT! SED FUGIT INTEREA FUGIT IRREPARABILE TEMPUS. Il patto di non concorrenza deve essere redatto a pena di nullità in forma scritta. Il requisito formale previsto dalla norma, in antitesi al generale principio della libertà delle forme, indica disfavore che il legislatore ha per i patti che limitano la libertà contrattuale del lavoratore dipendente oltre che la volontà di attirare l’attenzione del lavoratore sulle conseguenze di ciò che si accinge a sottoscrivere. La forma scritta è richiesta per tutti gli elementi essenziali per la sua validità (fissazione dei limiti di oggetto e di luogo e determinazione del corrispettivo). Una giurisprudenza datata (Cass. Sez. Lavoro 22 luglio 1978 n. 3687) aveva considerato con minore rigore l’ipotesi di mancanza dell’indicazione temporale, ritenendo che in assenza di tale determinazione potesse procedere ex art. 1374 c.c. all’integrazione del patto riferendosi alla durata massima prevista dalla norma del codice civile. La tesi, poco convincente fin dal suo nascere, è stata definitivamente abbandonata in ragione dell’inscindibilità dei requisiti del patto che devono essere autonomamente espressi dai contraenti e unitamente considerati dal giudice per valutare la legittimità dell’accordo. Di qui la preferenza per la tesi secondo cui la mancata previsione di un limite temporale produce la nullità dell’intera pattuizione.

2. L’OGGETTO: QUANTUM DEBEATUR? Per quanto attiene all’oggetto, è bene tener presente come l’attività che s’intende limitare NON può mai avere un’estensione tale da annullare totalmente la capacità lavorativa del dipendente: “Il patto di non concorrenza è nullo se il divieto di attività successiva alla cessazione del rapporto non è contenuto entro limiti determinati di oggetto, di tempo e di luogo poiché l’ampiezza del relativo vincolo dovrà essere tale da comprimere l’esplicazione della concreta professionalità del lavoratore in limiti che non ne compromettano la possibilità di assicurarsi un guadagno idoneo alle esigenze di vita” (Cass. Sez. Lav. 4 aprile 2006 n. 7835). Di conseguenza, il patto dovrebbe sicuramente specificare puntualmente la prestazione di lavoro vietata. La Suprema Corte, nella sentenza sopra riportata, e le Corti di merito hanno ritenuto che: “Ai sensi dell'art. 2125 c.c., il patto di non concorrenza può riguardare qualsiasi attività lavorativa che possa competere con quella del datore di lavoro e non deve limitarsi [necessariamente] alle sole mansioni espletate dal lavoratore nel corso del rapporto. Esso deve tuttavia ritenersi nullo allorché la sua ampiezza sia tale, in ragione del tipo di attività vietata e della sua estensione territoriale, da comprimere eccessivamente la libertà della capacità lavorativa del lavoratore e non sia stato stabilito un compenso adeguato al sacrificio del lavoratore”.

3. IL CORRISPETTIVO: HOMO SINE PECUNIA IMAGO MORTIS. Prendendo in considerazione il corrispettivo previsto per il patto di non concorrenza è di fondamentale importanza tener ben presente che “Per la validità del patto di non concorrenza il compenso pattuito deve avere il carattere della congruità in relazione all’attività lavorativa sacrificata; ai fini di un giudizio concreto sulla congruità si devono tenere presenti la misura della retribuzione, l’estensione territoriale ed oggettiva del divieto e la professionalità del dipendente” (T. Milano, 16/06/1999);“Con riguardo alla congruità del corrispettivo dovuto in caso di patto di non concorrenza, l’espressa previsione di nullità, contenuta nell’art. 2125 c.c., va riferita alla pattuizione non solo di compensi simbolici, ma anche a compensi manifestamente iniqui o sproporzionati in rapporto al sacrificio richiesto al lavoratore e alla riduzione delle sue possibilità di guadagno, indipendentemente sia dall’utilità che il comportamento richiestogli rappresenta per il datore di lavoro, sia dal suo ipotetico valore di mercato” (Tribunale di Milano 25 marzo 2011; Tribunale Milano Sez. lavoro, 02 febbraio 2015). Quanto alle modalità di erogazione del corrispettivo, nel silenzio della norma, le parti possono scegliere come regolare il pagamento del prezzo pattuito per il sacrificio del lavoratore in assoluta libertà. E’ da dire però che le modalità scelte devono essere tali da evitare qualsivoglia pericolo di aleatorietà: sul punto deve registrarsi un mutamento del precedente orientamento delle Corti di merito che riteneva valida la pattuizione dell’erogazione del compenso in busta paga in costanza del rapporto di lavoro. Una più recente giurisprudenza, sembra essersi orientata nel senso di ritenere legittima l’obbligazione di non concorrenza assunta dal lavoratore solo sul presupposto che il prezzo per la compressione della libertà contrattuale del lavoratore si prestabilito e ben determinata nel suo ammontare complessivo. Di qui, la giurisprudenza ha via via cominciato a valutare con sempre maggior disvalore i patti di non concorrenza che, legando il corrispettivo previsto dal 2125 cc alla durata del rapporto, ponevano un serio e reale problema di determinatezza (o quantomeno di determinabilità a priori) del compenso pattuito. Scrive infatti il Tribunale di Milano: “Ai sensi dell’art. 2125 c.c., il patto di non concorrenza deve prevedere, a pena di nullità, un corrispettivo predeterminato nel suo ammontare congruo rispetto al sacrificio richiesto al lavoratore; conseguentemente viola detta norma la previsione del pagamento di un corrispettivo durante il rapporto di lavoro, in quanto la stessa, da un lato, introduce una variabile legata alla durata del rapporto di lavoro che conferisce al patto un’inammissibile elemento di aleatorietà e, dall’altro, finisce di fatto per attribuire a tale corrispettivo la funzione di premiare la fedeltà del lavoratore anziché di compensarlo per il sacrificio derivante dalla stipulazione del patto” (Trib. Milano 13/8/2007, ord., Pres. Atanasio Est. Tanara, in D&L 2007, con nota di Renato Scorcelli, "Ancora su alcune interessanti questioni in materia di patto di non concorrenza", 1124; Tribunale di Milano, 4 marzo 2009, Tribunale di Milano, 8 settembre 2010.). Richiamando le parole del Tribunale di Padova (2 ottobre 2012), si può quindi sostenere che “Ai sensi dell’articolo 2125 del codice civile il patto di non concorrenza deve prevedere, a pena di nullità a favore del lavoratore un corrispettivo che, costituendo il prezzo di una rinuncia al lavoro e alla libera esplicazione della professionalità costituzionalmente garantiti, deve essere al momento della stipulazione del patto congruo ed adeguato rispetto al sacrificio richiesto al lavoratore medesime, e necessariamente determinato nel suo ammontare. Tale valutazione di determinazione ed adeguatezza del patto deve essere effettuata “ex ante” con riferimento sia al compenso erogato mensilmente durante il rapporto di lavoro, sia all’ammontare complessivo del corrispettivo pattuito”.

IL PATTO DI NON CONCORRENZA: CUI PROTEST? Il patto di non concorrenza nella stragrande maggioranza delle aziende italiane viene utilizzato nella versione nella quale il datore di lavoro eroga, in costanza del rapporto di lavoro, un compenso su base mensile. La possibilità di utilizzare tale modalità è stata ribadita più volte da parte della giurisprudenza: “ Ai sensi dell'art. 2125 c.c., il patto di non concorrenza deve prevedere - a pena di nullità - la corresponsione a favore del lavoratore di un corrispettivo che deve essere congruo rispetto al sacrificio richiesto al lavoratore medesimo; tale corrispettivo può essere pagato anche in costanza di rapporto di lavoro senza che in tal caso lo stesso possa considerarsi aleatorio in quanto un compenso crescente proporzionalmente alla durata del rapporto di lavoro meglio risponde all'esigenza di un equo contemperamento degli interessi delle parti, considerato che la maggior permanenza in un determinato settore merceologico comporta la maggiore specializzazione del lavoratore, rendendo più difficile la collocazione nel mercato del lavoro in un settore diverso e che, viceversa, tali difficoltà non incontra chi abbia svolto un breve periodo di lavoro presso un datore di lavoro che, dopo aver consentito comunque l'apprendimento di nozioni tecniche, non possa fruire del lavoro di tale dipendente perché in breve tempo dimissionario. (Trib. Milano 27 gennaio 2007, ord., Est. Cincotti, in D&L 2007, 822). Ne consegue che laddove venga richiesto un sacrificio alla libertà contrattuale del lavoratore, il corrispettivo erogato in costanza del rapporto di lavoro deve essere tale da essere satisfattivo (e quindi crescente) in relazione all’aumento della professionalità raggiunta dal dipendente nel corso della sua carriera, per modo che, corrispettivi che non tenessero conto del livello effettivo di conoscenze raggiunto dal lavoratore, dovrebbero comunque essere considerati nulli. Quanto al quantum, l’orientamento giurisprudenziale è nel senso che il corrispettivo pagato al lavoratore non deve essere simbolico ovvero palesemente iniquo: somme chiaramente inferiori al 15%-35% hanno condotto a pronunce di invalidità dei patti di non concorrenza sottoscritti.

© Avv. Alberto Andreello

Il patto di non concorrenza del lavoratore


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